L’antifascismo a Perugia prima della Resistenza (1975)

L’antifascismo a Perugia prima della Resistenza, pubblicato con il titolo «L’antifascismo a Perugia nel periodo di preparazione della Resistenza», in Aa.Vv., Antifascismo e Resistenza nella provincia di Perugia, numero speciale del mensile «Cittadino e Provincia», a. V, Perugia, giugno 1975; poi, con il titolo definitivo, in W. Binni, La tramontana a Porta Sole cit., edizione 1984 e successive; W. Binni, La disperata tensione cit.; W. Binni, Scritti politici 1934-1997 cit.

L’antifascismo a Perugia prima della Resistenza

Ritengo utile e addirittura necessario – in vista di una piú intera ricostruzione storica del periodo dell’antifascismo e della preparazione della Resistenza nei diversi centri cittadini e, attraverso questi, nella complessa trama dei movimenti e delle organizzazioni variamente consolidate in tutta Italia – che siano moltiplicate le testimonianze dirette di quanti vissero attivamente quel periodo. Tale vuol essere – anche se qui in forma provvisoria, abbozzata, lacunosa: quanti nomi certo dimenticati! – questo mio breve scritto con cui mi si è chiesto di partecipare al fascicolo preparato dall’Amministrazione provinciale di Perugia per il trentennale della Liberazione.

Certo l’antifascismo a Perugia ebbe una sua continuità anche in anni di cui io ho piú vaghi e piú indiretti ricordi. Ma mi pare assai vero e affermabile il fatto che l’antifascismo perugino ebbe una ripresa di piú ampia, incisiva, rinnovata attività soprattutto intorno al 1936, tra la guerra d’Etiopia e, piú, l’inizio della guerra di Spagna, quando i vecchi antifascisti trovarono nuove occasioni di speranze e nuove sollecitazioni di attività nel nuovo impegno internazionalista delle forze accorse in difesa del regime repubblicano spagnolo e nella partecipazione di antifascisti italiani a quella guerra («oggi in Spagna, domani in Italia»), mentre molti giovani e giovanissimi, specie intellettuali e studenti, che erano rimasti variamente invischiati nelle false prospettive e apparenti possibilità sociali del fascismo e di una maggiore apertura culturale e politica (l’inganno del corporativismo di sinistra, l’illusione della «rivoluzione dall’interno», le lusinghe della «fronda» fascista, le offerte di dibattito sui giornali dei Guf e nei Littoriali, ecc.), vedevano ora nella realtà della guerra di Spagna crollare definitivamente tutti quegli inganni nella verifica inequivoca di una guerra di aggressione antipopolare che rivelava interamente la natura tutta reazionaria del regime fascista partecipe, insieme alla Germania nazista, dell’attacco franchista alla democrazia, alla sinistra, alla classe proletaria spagnola.

Intanto fra il ’33 e il ’36, intorno ad Aldo Capitini – che nel ’33 era rientrato stabilmente a Perugia da Pisa dove aveva abbandonato il suo posto di segretario della Scuola Normale Superiore per non prendere la tessera fascista – e al suo piú antico amico, Alberto Apponi, pretore d’Assisi e non iscritto al partito fascista, si era venuto creando un gruppo di giovani e giovanissimi intellettuali e studenti perugini (come me, già amico di Capitini fin dal ’31 al mio ingresso come studente alla Scuola Normale di Pisa, come Averardo Montesperelli, Francesco Siciliani, Giorgio Graziosi, Franco Maestrini, Mario Frezza, Francesco Francescaglia, Bruno Enei e molti altri) che – in varie forme e gradi di consonanza con le note idee da lui maturate e professate (non violenza, religione «aperta» e anticattolica, netta avversione alla dittatura fascista e alla sua chiusura culturale, apertura a istanze di libertà e di socialismo) – si aprivano – pur con diversa accelerazione – a posizioni antifasciste attraverso un complesso processo anzitutto culturale e morale, alimentato da letture e discussioni su testi lontani e opposti alla linea della cultura del regime: testi proibiti spesso giunti a noi per opera di Montesperelli, allora insegnante all’estero, o del giovane libraio antifascista, Dante Simonelli, di ritorno dai suoi viaggi in Francia.

Per merito precipuo di Capitini, formidabile educatore, «persuaso» e «persuasore» insieme paziente e severo, la maggior parte di quei giovani veniva sempre piú formando un nucleo di forme avanzate di nuova cultura antifascista, non priva anche di ricambi e arricchimenti nel contatto con altri ambienti (per me, ad esempio, Pisa con gli elementi antifascisti della Scuola Normale e del Collegio Corporativo, come Giuseppe Dessí, Achille Corona, Francesco Ferrara e molti altri; per me e per altri, Firenze e Roma, con le preminenti presenze di Ragghianti e Calogero) e presto entrata in contatto con personalità antifasciste perugine e rappresentanti di partiti e tendenze prefasciste e legate all’eredità laica e progressista della borghesia perugina risorgimentale: in primissimo piano il repubblicano avvocato Alfredo Abatini e poi gli avvocati Monteneri e Cuccurullo pure repubblicani, il liberale avvocato Fausto Andreani e tanti altri di varie tendenze, come Arturo Checchi, fra i quali, ma piú tardi, anche qualche piú raro rappresentante di correnti politiche cattoliche come l’avvocato Carlo Vischia (e già prima, ma in una posizione cattolica estremamente personale, l’estroso e simpaticissimo pittore Andrea Scaramucci).

Ma per alcuni di noi ancor piú decisivo fu l’incontro nuovo (eravamo giovani intellettuali fino allora chiusi in una cerchia legata alla nostra stessa estrazione borghese) con rappresentanti antifascisti della classe popolare perugina (almeno come estrazione sociale) quali il vecchio repubblicano Miliocchi, i comunisti Remo Roganti, Memo Rasimelli, Enea Tondini, Tito Comparozzi, i libertari Luigi Catanelli e Cesare Cardinali (primo educatore dei giovanissimi Primo Ciabatti e Riccardo Tenerini), Paolo Canestrelli, Marzio Pascolini (singolare portatore di esperienze socialiste e anarchiche sudamericane), e ancora, un po’ piú tardi, i socialisti Alfredo Cotani, Gino Spagnesi, Remo Mori, Tomaso Ciarfuglia e Angelo Migni Ragni, parroco di Montebello, ex-modernista e ideologicamente e politicamente di sinistra. Fu questo, ripeto, per molti di noi l’incontro piú nuovo e importante (quanto piú difficile e «proibito»: si sa che il regime temeva soprattutto l’avvicinamento di intellettuali e di uomini della classe lavoratrice), l’incontro con quella Perugia popolare, generosa e combattiva, il cui contatto tanto ci arricchí e che aiutò in alcuni di noi una scelta irreversibile di campo in senso sociale-politico.

Ma, come ho già detto, una svolta piú attiva per l’antifascismo perugino fu il 1936 con l’essenziale spinta acceleratrice della guerra di Spagna. E proprio alla fine di quell’anno – secondo il mio ricordo e secondo la conferma che ne trovo in un documento pubblicato in tempi piú vicini a quella data[1] – si costituí a Perugia, nello studio di Alfredo Abatini, un Comitato clandestino la cui precocità cronologica mi par assai notevole nella storia dell’antifascismo nazionale.

Con quella costituzione organizzativa e collegatrice si apre il periodo piú rilevante e continuo dell’attività clandestina a Perugia, sia nella diffusione delle idee antifasciste sia nel maggiore collegamento dei gruppi esistenti sia nello stimolo alla ripresa (variamente rapida ed efficace) delle formazioni partitiche e delle tendenze legate ai vecchi partiti: anche se di quel Comitato facevano parte uomini che non sempre rappresentavano formazioni o tendenze politiche precise, e con vasta e precisa base, o che contavano soprattutto per la loro autorevolezza antifascista e per l’affidamento dato dalle loro capacità di attività e di intelligenza.

E pur tra la fine del ’36 e l’inizio del ’37 si venne formando in Perugia un nuovo movimento politico che mi sembra obbiettivamente rappresentare un contributo originale dell’antifascismo perugino alla storia dell’antifascismo italiano: quel movimento «liberalsocialista», la cui prima elaborazione e la cui prima costituzione avvennero proprio in Perugia ad opera di Capitini e degli amici intorno a lui già saldamente riuniti[2], anche se poi arricchito (ma in parte anche complicato rispetto alle sue istanze originarie) e diffuso in seguito all’intervento di ideologia e di attività di Guido Calogero (ma anche di Carlo Ludovico Ragghianti, di Ugo La Malfa, di Tristano Codignola, Enzo Enriques Agnoletti, Piero Calamandrei, Raffaello Ramat, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Cesare Luporini, Norberto Bobbio, e tanti altri intellettuali e uomini di azione).

Cosa sia stato il «liberalsocialismo» (che a volte è stato troppo facilmente spiegato come un bisticcio di parole e concetti contraddittorii – come parve al Croce nel suo noto attacco a Calogero – e che d’altra parte troppo facilmente si è visto spesso solo come pura e semplice premessa del Partito d’azione) sarebbe qui troppo lungo spiegare adeguatamente, distinguendo le varie versioni che in quel nome e movimento convivevano, piú fuse nell’azione che non nella precisa direzione culturale e politica, e indicando i suoi stessi limiti di possibili equivoci. Qui basti ricordare che la versione di Capitini e di alcuni del gruppo perugino, come di altre personalità in campo nazionale, era ben lontana da un semplice contemperamento moderato delle nozioni classiche di liberalismo e socialismo, ma implicava la volontà (importante almeno come istanza) di fondare un socialismo tanto socialmente ed economicamente radicale quanto politicamente e giuridicamente concretato in forme di democrazia diretta, «dal basso» e quindi sempre aperto alla libera circolazione delle idee, mai chiuso in rigide strutture burocratiche e autoritarie né, d’altra parte, identificabile con un riformismo che agisse nella «libertà» intesa nella sua forma strutturata dalla società borghese. Come dirà poi Capitini, la formula-base del «liberalsocialismo», nella versione sua e di altri, voleva essere questa: «massima libertà sul piano giuridico e culturale e massimo socialismo sul piano economico».

Detto ciò, soprattutto per rilevare l’importanza di una elaborazione di prospettive ideologiche-politiche di cui Perugia si trovò, specie all’inizio, al centro, mi preme – nel taglio rapido di queste pagine – ricordare come la stessa attività del movimento liberal-socialista (che a Perugia trovava discussione e collaborazione, attraverso il raccordo del ricordato Comitato clandestino, per mezzo di un fertile, continuo sviluppo di incontri e dibattiti e di una progressiva aggregazione di nuove forze al piú largo campo antifascista) si profilasse da Perugia (seppur certo poi non solo da Perugia) in una doppia e mal separabile linea di propaganda e di collegamento a livello nazionale: la linea piú diretta della propaganda e della costituzione di gruppi liberalsocialisti e quella piú generale di propaganda, collegamento, costituzione di forze piú generalmente antifasciste.

Queste due intrecciate linee furon portate avanti con crescente alacrità e successo dal ’37 in poi, con un procedimento che tendeva fra l’altro a trasformare i giovani, convertiti alla precisa posizione liberalsocialista o alla piú generale coscienza antifascista, in altrettanti «convertitori» e propagandisti, e con una serie molteplice di viaggi e di incontri in tutte le parti d’Italia. Complessa azione di cui io personalmente[3] (ma ciò che dico per me vale per tanti altri miei compagni e amici) posso meglio ricordare (tra viaggi appositi e occasioni di miei soggiorni in diverse città per ragioni di lavoro o di servizio militare) l’attività da me svolta nel collegamento con vecchi e nuovi antifascisti a Lucca (dove, anche per merito del perugino Mario Frezza che in quella città abitava, si formò un folto gruppo antifascista: Rappa, Del Bianco, Tocchini, Arrighi, Muston, Eugenio Luporini, Augusto Mancini, Frediano Francesconi e molti elementi artigiani e operai di cui purtroppo mi sfugge il nome), a Pisa (dove si allargarono antifascismo e liberal-socialismo specie nell’ambiente della Normale e del Collegio corporativo: Natta, Russi, Patrono, Saitta, ecc.), a Torino (dove ebbi incontri e collegamenti con Leone Ginzburg, Enrico Alpino, Franco Antonicelli e Cesare Pavese), a Vicenza (dove mi recai piú volte con Capitini e Ragghianti a stabilire legami con Giuriolo, Neri Pozza, Antonio Barolini), a Pavia e a Milano (a Pavia dove si strinsero rapporti con Fausto Ardigò, Peccerini, Sergio Steve, e a Milano dove, insieme a Mario Frezza, venni a contatto con Giulio Preti, Umberto Segre, V.E. Alfieri, con l’avvocato Zanotti attivo nel clandestino Soccorso Rosso, con operai di alcune fabbriche, con Ferrata e Vittorini, mentre in casa di Alessandro Casati incontravo Benedetto Croce, Piero e Paolo Treves, Alessandro Passerin d’Entrèves), a Bologna e Ferrara (dove insieme a Ragghianti si formarono nuclei liberalsociasti con Gnudi, Cavalli, Arcangeli, Giorgio Bassani), a Bolzano (dove si formò intorno a me un gruppo antifascista di insegnanti e di ufficiali di complemento), nelle Marche, e soprattutto a Firenze e Roma, dove si venivano moltiplicando i gruppi antifascisti e liberalsocialisti e coinvolgevano sempre piú giovani e giovanissimi, come Ingrao, Alicata, Mario Manacorda, Antonello Trombadori (presto divenuti comunisti), e dove sempre piú forte era la presenza attiva di Calogero, Ragghianti, Codignola e altri.

Si veniva cosí stabilendo una vasta e fitta rete di centri e gruppi fra loro collegati che superava ormai l’iniziale centralità di Perugia, ma che in Perugia trovava pur sempre un luogo di riferimento essenziale e una base locale sempre piú larga e cospicua.

A Perugia infatti, soprattutto per il rilievo della presenza di Capitini, convenivano sempre piú frequentemente rappresentanti, anche molto cospicui, dell’antifascismo e del liberalsocialismo italiano (La Malfa, Cesare Luporini, Omodeo, De Ruggiero, Banfi, Flora, Bobbio, Ernesto Buonaiuti, Concetto Marchesi, Gabriele Pepe, Tommaso Fiore, Luigi Russo, Piero Calamandrei, Pietro Pancrazi, Umberto Morra, Carlo Antoni e molti giovani come Franco Fortini, Giaime Pintor, Gianfranco Corsini, Lucio Lombardo Radice, Gianni Miniati), che a volte approfittavano anche delle occasioni non del tutto casuali offerte dall’attività della sezione dell’Istituto di studi filosofici, presieduto da Montesperelli, e che si raccoglievano, a seconda dell’opportunità, o in casa di Montesperelli o in casa di Apponi o nel laboratorio di Catanelli o nel deposito di legname di Tondini o nella canonica di Montebello di Don Migni Ragni, o, soprattutto, in quello studiolo di Capitini nella cella campanaria del Comune, che – reso paradossalmente sicuro dalla sua ovvietà e centralità – fu certo un luogo essenziale nella storia dell’antifascismo perugino e italiano e che avrebbe dovuto essere mantenuto come era, a ricordo di questa sua importanza storica.

E intanto negli anni fra il ’38 e il ’43 il gruppo antifascista perugino si ampliava sempre piú (basti ricordare, ad esempio, i nuovi rapporti creatisi con giovani scultori e pittori come Tommaso Peccini, Mancini, Filippucci, Enzo Rossi), si arricchiva di tanti nuovi elementi (prevalentemente di tendenza liberalsocialista o comunista) che venivano a vivere e a lavorare in Perugia (Agostino Buda, Emanuele Farneti, Giovanni Guaita, Ottavio Prosciutti, Arturo Massolo, Giuseppe Granata, Gastone Manacorda, ecc.) e di sempre piú numerosi giovani e giovanissimi perugini (come, ad esempio, Ilvano Rasimelli, Lello Rossi, Erminio Covarelli, Pio Baldelli, Luigi Severini, Fernando Rosi Cappellani, i già ricordati Ciabatti e Tenerini, Piera Brizzi, Lanfranco Mencaroni e tanti altri) che entravano allora in azione e (variamente aggregandosi soprattutto alla tendenza liberalsocialista o alla sempre piú incisiva organizzazione comunista o alla ripresa della formazione socialista) contribuirono ad un piú deciso bisogno di azione: l’episodio significativo, nel ’41, dei manifesti antifascisti apparsi a Perugia, nel centro e a Porta Pesa, con conseguenti carcerazioni e il clamoroso drammatico caso del benzinaio Mario Santucci, comunista, lanciatosi dalla finestra della Questura per sfuggire alla tortura poliziesca (ché particolarmente duro e feroce era il «trattamento» riservato agli elementi piú popolari). Poi – dopo il primo imprigionamento di Capitini nel ’42 – altre azioni che provocarono la grossa retata di studenti liceali e di alcuni loro professori nella primavera del ’43. Molti di quei giovani e giovanissimi avrebbero dato poi forte contributo – fino al sacrificio della vita (per tutti ricordo Primo Ciabatti) – alla lotta armata della Resistenza e, dopo la Liberazione, alla nuova ripresa di vita politica pubblica.

Per quanto in particolare riguarda il Movimento liberal-socialista (di cui ho piú parlato come testimonianza personale e da cui, d’altra parte, alcuni eran già passati da tempo all’organizzazione comunista, che aveva il suo rappresentante maggiore in Armando Fedeli), a Perugia la costituzione del Partito d’Azione, alla fine del ’42, comportò una relativa divisione anche di piú stretti e vecchi amici, pur sempre solidali nell’attività antifascista, ché, mentre alcuni, come Apponi e molti altri, entravano nel nuovo partito (cosí avveniva per gran parte dei liberalsocialisti in campo nazionale), Capitini restava in posizione di indipendente di sinistra e altri, come me, Enei, Montesperelli e vari giovanissimi (come Bazzucchi, Orsini, Maurizio Mori e Giacomo Santucci) si legavano a posizioni e forze socialiste per poi entrare, fra il ’43 e il ’44, nel ricostituito Partito socialista in cui essi divennero elementi importanti per la sua diffusione e organizzazione a Perugia e in Umbria.

Infine – a conclusione di questo breve scritto richiestomi come parziale recupero di ricordi sul periodo, a Perugia, dell’attività antifascista clandestina e della preparazione della lotta armata della Resistenza – si permetta ad uno dei tanti partecipi di quel lontano periodo di riagganciare il passato (che vale solo se è forza per il presente-futuro) alla situazione attuale, che vede Perugia capoluogo di una Regione rossa e amministrata, al Comune e alla Provincia, dai Partiti di sinistra, ma anche città violentemente aggredita dal nuovo fascismo. Proprio mentre rimeditavo su questi ricordi, mi giungevano le notizie della situazione grave della nostra città[4] e un’indignazione profonda si mescolava a una persuasione energica. Indignazione per un ripresentarsi apparentemente assurdo di forze già una volta duramente battute e condannate dalla storia, persuasione della vitalità delle forze popolari antifasciste che batteranno la violenza fascista e le forze piú profonde e insidiose che l’appoggiano, cosí come in quel lontano passato seppero opporsi validamente alla dittatura fascista e contribuirono alla sua disfatta. Cosí anche questi ricordi e queste giuste celebrazioni della lotta della Resistenza e dell’attività clandestina che la preparò perderanno ogni carattere «commemorativo» e retorico e potranno aggiungere uno stimolo a ciò che piú conta: l’attuale impegno antifascista e, per molti di noi, la volontà persuasa di contribuire, anche nel nostro Paese, alla costruzione, pur cosí difficile, di una nuova società che realizzi l’esito positivo del dilemma luxemburghiano «o socialismo o barbarie».


1 Secondo il mio ricordo, al momento della costituzione, cui io partecipai, esso era formato certamente da Alfredo Abatini, Alberto Apponi, Aldo Capitini, Luigi Catanelli, Enea Tondini, Paolo Canestrelli e forse da altri la cui presenza ora mi sfugge.

2 Si veda quanto narra a proposito della prima fondazione perugina del movimento Aldo Capitini in Antifascismo tra i giovani, Trapani, 1966, p. 97, e nello scritto autobiografico Attraverso due terzi di secolo, ora ripubblicato nel mio saggio, Aldo Capitini e il suo «Colloquio corale», nei «Quaderni della Regione dell’Umbria», 3, 1974, p. 23.

3 Nel recente volume di G. De Luna, Storia del Partito d’Azione, Feltrinelli, Milano, 1982, io vengo ricordato fra i piú attivi «commessi viaggiatori della cospirazione» durante il periodo «liberalsocialista» (pp. 20-21n).

4 Mi riferivo nel 1975 a violenze neofasciste per le vie di Perugia.